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Federico De Roberto, uno stile di pensiero
Il libro tende a una dilucidazione di alcuni esiti dello stile di pensiero di Federico De Roberto. È, quello dello scrittore siciliano, un atteggiamento mentale che si misura con figure e temi quali la malasorte, i volti molteplici della passione amorosa, le illusioni e i disincanti, l’ossessione del potere, il sentimento e la rappresentazione della morte. Il «mondo» agirebbe nel segno di un vero e proprio «gioco» che, con la cifra del grottesco, disvelerebbe un rovesciamento laico di una secolare visione cristiana. È in questo senso che le vicende umane si offrirebbero come un irrisarcibile «succedersi di evanescenze».
Ricordata di rado, e solo perché moglie di Luigi Capuana, Adelaide Bernardini è stata poetessa, narratrice, articolista, drammaturga, critica e librettista, tra le voci più note della cultura italiana tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento. Eppure, i suoi scritti, cospicui e vari per generi e per temi, e il suo ruolo di collaboratrice e coautrice dell’opera del marito, sono stati pressoché ignorati. Umbra di nascita e siciliana d’adozione, Bernardini è stata testimone di anni cruciali della storia politica, culturale e sociale d’Italia, dal periodo postunitario fino al secondo conflitto mondiale, che ha raccontato in poesie, novelle e testi teatrali, forte della sua formazione di maestra e fervente lettrice, spinta da una ferrea ambizione e, inevitabilmente, corroborata dal fecondo humus culturale in cui si ritrovò a vivere grazie al marito, risiedendo prima a Roma e poi a Catania. La notevole differenza d’età con Capuana, le vicende da feuilleton da cui nacque il loro sodalizio umano e artistico, il carattere volitivo e piuttosto polemico che la mise in contrasto con nomi illustri dell’intellighenzia del periodo – Pirandello e Marinetti, tra gli altri – non avevano finora permesso una valutazione serena e obiettiva dell’opera di Bernardini. Questo volume la inserisce nella più ampia prospettiva della scrittura femminile tra Otto e Novecento, e quindi nel cruciale dibattito sui temi dell’emancipazionismo: istruzione, matrimonio, maternità, divorzio, adulterio. Attraverso un profilo biografico accuratamente documentato e una stringente analisi dei testi si ricostruisce con obiettività la figura della Bernardini donna e intellettuale.
La rappresentazione narrativa di luoghi, ambienti e paesaggi nelle due stesure del Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga (1888 e 1889) è analizzata con un approccio che integra al tradizionale approccio diegetico-letterario l’osservazione linguistico-stilistica e tipologico-testuale. A partire dal presupposto storico-critico che nel romanzo moderno lo spazio è il cardine della relazione tra sintassi, lessico d’autore, temi e contenuti, si è costruito e indagato un corpus di un centinaio di inserti descrittivi, consultabile in appendice al presente volume. Raffrontando sinotticamente le soluzioni testuali adottate nelle due edizioni del romanzo, si sono caratterizzate, in base a dati attendibili e oggettivi, le dinamiche di testualizzazione e di strutturazione dei dati spaziali e paesaggistici nel Mastro-don Gesualdo. Le rare enunciazioni teoriche verghiane sono state rapportate alle realizzazioni narrative, e si è appurato come, nel rappresentare la realtà nel secondo romanzo de I Vinti, Verga osservi il mandato zoliano di attagliare le descrizioni alla caratterizzazione ambientale dell’uomo-personaggio, senza tuttavia rinunciare a un descrittivismo liricheggiante e a volte soggettivizzato. L’articolata gamma di strategie sintattico-stilistiche ed elocutive – dal livello minimo di allitterazioni e onomatopee al livello più elevato di anafore, similitudini, antitesi, metonimie – conferma il costante connubio tra grammatica e retorica come cifra stilistica dei capolavori veristi.
Il presente volume si può considerare, in certo qual modo, come una continuazione del precedente lavoro Le lagrime e le risate delle cose. Aspetti del verismo, accolto, nel 1989, nella prima serie degli Studi della Fondazione Verga di Catania. Protagonisti dei saggi di cui il libro si compone sono, sicuramente, anche in questo caso, i maggiori rappresentanti del verismo italiano: Verga, Capuana, De Roberto (inquadrati nel contesto storico-culturale di cui fanno organicamente parte); la ricerca si sviluppa, tuttavia, su un campo che si estende oltre i confini comunemente assegnati alla materia in oggetto, procedendo secondo linee e in direzioni che divergono – a volte – da quelle più “tradizionali” e addentrandosi in territori poco frequentati (come nel caso di Capuana “fantastico” e “fantascientifico”) o del tutto inesplorati (nel caso dei rapporti tra Capuana e Maupassant). Da questo punto di vista, forse, un titolo più appropriato (in quanto più “aperto” e – almeno potenzialmente – “pluralista”) avrebbe potuto essere qualcosa come Paralipomeni sul verismo e sui veristi. Ma sarebbe apparso un po’ troppo “ingombrante”.
Spigolature idiolettali nel vissuto linguistico del Verga ‘milanese’ (1872-1891)
I vent’anni trascorsi da Verga a Milano, che segnarono il culmine e poi il lento declino della vita artistica dello scrittore, costituiscono un periodo lungo e intenso, che è stato oggetto di approfonditi studi su singoli aspetti o su elementi episodici. Questo volume intende proporne una rivisitazione più organica, ripercorrendo dall’interno il vissuto linguistico dello scrittore, restituitoci da lettere, scritti memorialistici e testimonianze d’epoca. L’osservazione ravvicinata degli idioletti pubblici e privati di Verga, da quello estetico e teatrale a quello socio-familiare e amicale, permette di far luce su un aspetto essenziale – e finora inesplorato nel suo complesso – dell’esperienza artistica del grande scrittore verista, aprendo scenari inediti sulla vita sociale e culturale dell’Italia otto-novecentesca, con il suo irripetibile ethos.
La “terribilità”, la sconvolgente capacità di guardare lucidamente la “verità effettuale” dell’agire umano, senza il velo di alcuna ipocrisia. È questa caratteristica, spesso taciuta, di Verga, a emergere da questo libro, che propone alcuni temi rileggendone l’intera opera: quello, machiavelliano, della ferinità come componente essenziale, costitutiva, dell’umanità stessa; quello della guerra, della lotta, dei conflitti, sia della Storia sia delle storie individuali; quello dello “spatriare”, per necessità, che dalle sue pagine si proietta sugli infiniti drammi vissuti da moltitudini di esseri umani, sulle intere generazioni partite per “là dove muore il sole”, e su chi, oggi, privo di tutto, giunge dal mare sulle stesse spiagge dei Malavoglia. Difficile, anche arduo da sopportare, questo sguardo di Verga sulle “cose” del mondo, che non arretra di fronte al male, ma che vuole conoscerlo e rappresentarlo, senza infingimenti e facili illusioni. Ma proprio per questo coraggioso riconoscimento, per questa amara consapevolezza, per le sue negazioni, profonde istanze possono anche sorgere in chi oggi voglia rileggere la sua opera, e riesca a “stare con lui”, con il terribile e grande Verga, riscoprendone la voce immanente di autentica pietà per il dolore del mondo.
La poetica delle contraddizioni in De Roberto novelliere
Nella vastissima e poliedrica produzione letteraria di Federico De Roberto (Napoli, 1861-Catania, 1927), una considerazione adeguata meritano le novelle – circa un centinaio – composte tra il 1887 e il 1927. Nella sua pluridecennale attività di novelliere, l’autore de I Vicerè sviluppa una metodologia di scrittura sistematica e precisa vòlta all’osservazione e alla riproduzione esatta del reale, spinta oltre i modelli del verismo. La novella diventa il laboratorio di speculazioni teoriche e sperimentalismi letterari applicati, successivamente, nei ben più celebri romanzi dell’autore catanese. Partendo da un’analisi delle prefazioni alle raccolte di novelle, il presente studio analizza i due principali filoni narrativi della novellistica derobertiana. Nel primo, connotato dalla poetica dell’amore, è palese la contraddizione prospettica tra la concezione del sentimento come oggetto di studio e come oggetto di rappresentazione letteraria. Se dal punto di vista teorico l’amore risponde a una casistica precisa elaborata dall’autore, al momento della sua trasposizione narrativa si manifesta la sua assoluta e sfuggente contraddittorietà. Il secondo filone si sviluppa attorno a quelle che la critica ha battezzato le “novelle della guerra”, scritte a ridosso del primo conflitto mondiale. Nate come rappresentazioni retrospettive ma fedeli di episodi emblematici del vissuto quotidiano dei combattenti, queste novelle diventano una concatenazione di signifiants polisemici che rinviano a una realtà terrificante. Pur nella riproduzione narrativa, la realtà bellica si presenta drammaticamente stravolta da fatti storici che rimettono in dubbio tutte le certezze acquisite e lasciano spazio a interpretazioni plurime. L’attrito tra le teorie esposte dall’autore nelle sue prefazioni e le risultanze dei suoi testi narrativi si risolve in una “poetica delle contraddizioni”, dove le strategie narrative diventano strumenti essenziali per rivelare le discordanze della realtà. La parabola delle novelle derobertiane, qui indagata organicamente per la prima volta, permette di individuare le tappe di una vicenda letteraria intensa e singolare, spinta da una tensione continua tra veritas e fictio, ed estesa tra moduli veristi, modernisti ed espressionisti.
Ripartito in due parti, il saggio propone nella prima una disamina lucida e originale del rapporto tra paesaggio e letteratura, soffermandosi in particolare sul secondo Ottocento, problematico momento di transizione dalla concezione romantica in cui il paesaggio rispecchia lo stato d’animo e il vissuto dei personaggi ai molteplici aspetti che esso assume nel Novecento. Nella seconda parte, la documentata e puntuale analisi delle dodici Novelle rusticane evidenzia la funzione narrativa e ideologica assegnata da Verga al paesaggio, metafora della propria Weltanschauung. “Sfinge misteriosa” con un “carattere di necessità fatale” (Di là del mare) il paesaggio nelle Rusticane è abitato da “fantasmi passeggieri”, umili protagonisti di piccole vicende sulle quali si abbattono il potere della Natura (Malaria, I galantuomini, Gli orfani) e della Storia (Libertà, Il Reverendo, Cos’è il Re), espressioni della visione materialistica ed economicistica (La roba, Pane nero) di Verga.
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