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Di che cosa si occupa e si preoccupa questo saggio? Esso contiene delle variazioni sul tema del controllo sociale e dei tentativi di Charles Wright Mills e di Niklas Luhmann di rifondare la sociologia, il primo ritornando ai classici del pensiero sociologico e promettendo una “mente di qualità” attraverso una profonda rimeditazione delle concezioni sul metodo, il secondo a partire dagli esperimenti della sociologia americana degli anni ’40-’50, poi abbandonati per ragioni ideologiche, di fondare una teoria generale dei sistemi. Tali variazioni sul tema sviluppano anche una fuga in avanti che implica l’abbandono, o quantomeno la ridefinizione, di concetti quali relazione, interazione, azione, status, ruolo, aspettativa, struttura sociale, ancora oggi largamente utilizzati dai sociologi italiani.
Il volume rappresenta il primo studio sistematico della lingua di Verga, in quanto ricostruisce – analizzando 668 testi epistolari del ventennio 1865-1885 e raffrontandone gli usi linguistici con la scrittura letteraria coeva – come si sia costituita la competenza comunicativa di Verga. Una competenza linguistica e stilistica “multipla”, in cui si sono via via sedimentate le varie componenti idiomatiche che hanno animato il vissuto sociolinguistico dello scrittore nelle due decadi cruciali per la sua formazione e per la sua produzione letteraria. Il contatto con gli ambienti culturalmente più vitali e stimolanti dell’Italia del secondo Ottocento, in particolare Firenze e Milano, ha condizionato e arricchito la lingua privata di Verga – finora non adeguatamente descritta – e ha influenzato la conquista della sua lingua narrativa. Le lettere testimoniano efficacemente i rapporti dello scrittore nelle diverse reti socio-relazionali (familiare, affettiva e amicale, amicale e professionale), e ne restituiscono le dinamiche sociocomunicative. Gli usi linguistici osservati nella scrittura epistolare verghiana, scandagliata per livelli (grafico e fonologico, morfologico, sintattico, lessicale e fraseologico), sono costantemente rapportati all’italiano letterario dell’autore e all’italiano ottocentesco. Il confronto fra la lingua del Verga scrivente e la lingua del Verga scrittore ha dimostrato innanzitutto, sulla base di un corpus testuale organico, la formazione simultanea della sua competenza linguistica e del suo inimitabile stile. Non secondariamente poi la scelta di assumere Verga come caso di studio, in qualità di parlante rappresentativo della generazione postunitaria, correlandone gli usi linguistici testimoniati dalla scrittura epistolare agli usi linguistici del XIX secolo, ha consentito di storicizzarne l’esperienza in rapporto alle tendenze linguistiche postmanzoniane. In questa prospettiva socio-letteraria e socio-linguistica l’epistolario si configura come un corpus socio-comunicativo dinamico, la cui analisi linguistica restituisce compiutamente il formarsi di una competenza grammaticale, lessicale e idiomatica ricca e molteplice, da cui si è evoluto il moderno italiano interregionale di Verga.
Médée, primo saggio del giovane Corneille nell’ambito della tragedia, quasi un lavoro preparatorio ai successivi Cid, Horace e Polyeucte, con i quali si imporrà quale indiscusso protagonista del Grand Siècle. Si è concordi nel riconoscere in Seneca la fonte principale della sua Médée, come egli stesso riconosce nell’Examen della tragedia. Tuttavia, contrariamente a Seneca, egli sfuma il lato demoniaco di Medea, restituendone l’immagine euripidea di sposa ferita, che solo sul finale acquisisce un lato mostruoso, benché le sue azioni vendicative appaiano più comprensibili agli occhi degli spettatori, dati gli intrighi iniqui di Giasone, sposo infedele, e dei sovrani di Corinto di cui è vittima. Giasone è la misera incarnazione della vanità e dell’orgoglio, e Creusa, figlia del re di Corinto, è così impertinente da chiedere, e quasi pretendere, la veste regale di Medea, dopo che ne è stato decretato l’esilio. Corneille riprende alcuni ingredienti spettacolari del teatro senechiano, rappresentando la morte dei sovrani di Corinto sulla scena, ma si astiene dal visualizzare l’infanticidio, sconveniente per il teatro delle bienséances, evocandolo, quasi sterilizzato, con soli quattro versi nel discorso ultimo di Medea a Giasone. Infine, un epilogo originale rispetto alla tradizione: un suicidio di una certa opacità, silenzioso e privo di qualsiasi solennità.
INDICE ANNALI 16/2023
– Nicolò Mineo: Luigi Russo lettore di Verga
– Giuseppe Polimeni: Arrivare ai Promessi sposi dai Malavoglia. Appunti sull’intuizione stilistica di Luigi Russo
– Emanuele Cutinelli Rendina: Luigi Russo e i maestri del neoidealismo italiano
– Gabriella Alfieri: Luigi Russo e il segreto della “lingua poesia” di Verga
– Giuseppe Lo Castro: Pagine «caricaturali» e «senza pietà». Luigi Russo da Verga a De Roberto
– Giuseppe Traina: Luigi Russo: «I narratori» e la narrativa post-verghiana
– Andrea Manganaro: “Il poeta della povera gente” e la questione dei manoscritti: gli interventi verghiani di Luigi Russo critico militante
– Fiammetta Papi: Il diavolo ci mise la coda: lettere inedite di Verga a Puccini
– Anita Placenti: “Casa Verga”: una lettura integrale dell’incompiuto progetto derobertiano
– Gabriella Macrì: La miniera nel naturalismo, nel verismo e nell’ithografia: Germinal di Zola, Rosso Malpelo di Verga e Le conseguenze della vecchia storia di Viziinòs
– Dino Manca: L’inedita redazione manoscritta di una novella di Grazia Deledda conservata presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Analisi filologica e critica
– Claudia Tarallo: Prime annotazioni sulla lingua della fiaba per bambini di Maria Messina
Buenos Aires, fine anni Trenta. L’amore impossibile tra Costantino il fileteador – uomo di pennello, posseduto dalla folle madre Victorina – e Mirna, donna del compadre Calmiro, uomo di coltello, figlia di un gaucho con la chitarra accolto in un conventillo con la famiglia dopo aver lasciato la Pampa. La storia di un triangolo di passione e sangue, vissuto nella planimetria di una città dolente danzata nel tango, evocata in trasparenza dal bandoneón di Astor Piazzolla e dagli strumenti del suo Quintetto, scandita nella regolarità delle Cuatro Estaciones Porteñas, colonna sonora di azioni, desideri, fughe, appuntamenti, addii, apparizioni di figure come Perro l’arrotino, Ernesto l’acquaiolo, Xosé il galiziano, Dieghito, niño vivo, con il proprio pallone in movimento da un barrio all’altro della città di Borges, Gardel, Evita Perón.
Anna Cuticchio, unica donna “pupara” di Sicilia, in una chiacchierata tra amiche, con Sara Favarò, racconta in questo volume la sua storia, che la vede nascere nella grande famiglia di pupari Cuticchio e crescere tra paladini e cunti coltivando per per anni la passione che da generazioni le appartiene. Fino a quando, lungo il suo cammino, incontrerà Dio, che la trasformerà in “paladina della fede”, consacrata missionaria in Africa. Una grande biografia raccontata in una intervista che a volte sembra un racconto epico come quello dei paladini, altre volte ha il fascino della conversione incondizionata.
LINGUE IN CONTATTO. LINGUE DI CONTATTO. TRA PASSATO E PRESENTE
Il fil rouge che lega i contributi contenuti in questo volume è l’osservazione e analisi di un complesso di fenomeni inerenti al contatto interlinguistico generato da movimenti di immigrazione – verso la Sicilia, anche solo come meta di passaggio, da diverse parti dell’Italia, dell’Europa e del mondo – e di emigrazione – fuori dalla Sicilia, e in generale dall’Italia meridionale, verso il continente americano – avvenuti nel passato e nel presente, osservati secondo una prospettiva diacronica e sincronica, a partire da produzioni dei parlanti diamesicamente diversificate o da documentazione di tipo testuale e lessicografico. Tali fenomeni di contatto coinvolgono prevalentemente il lessico – e le informazioni lessicali contenute in ogni sua unità: proprietà foniche e grafiche, proprietà morfologiche e morfosintattiche, proprietà semantiche – e, oltre al lessico, scenari costruiti e richiamati dagli e negli eventi, e nuove pratiche linguistiche. Queste ultime pertengono ad esempio alla controversa affermazione di una lingua ausiliaria internazionale come l’esperanto, nata proprio – secondo l’idea del suo inventore Zamenhof – per favorire il superamento dei conflitti legati a diverse appartenenze etniche e culturali e incoraggiare un rinnovato tipo di mobilità.
Lila e Jacopo, due liceali, insieme ad alcune classi della loro scuola, in una giornata di fine ottobre innaturalmente afosa, partecipano a un’escursione al lago di Pergusa e a Cozzo Matrice, terre del mito di Kore e Demetra. Sono accompagnati dalla loro insegnante e da un’archeologa. La visita è stata fortemente voluta dall’anziano preside della scuola, Teodoro Siciliano. Sul luogo i due ragazzi incontrano una troupe guidata da Gaia, regista tedesca che sta realizzando un docufilm. Gaia coinvolge Lila e Jacopo nelle riprese. È così che per i due comincia un’avventura, tra l’onirico e il reale, che li sprofonda nel mito e nei suoi significati più profondi. Lila rivede, alla luce dell’antica storia raccontata da Demetra, il suo tormentato rapporto con la madre, con se stessa e le sue fragilità. Anche Jacopo riflette su di sé. Emerge, prepotente, un altro tema, quello della relazione, compromessa, fra uomo e natura. Il sogno a occhi aperti vissuto sulla collina del mito scioglierà nodi esistenziali e aprirà nuove prospettive nella vita dei due protagonisti.
In questo libro, intricato e intrigante, si narra la storia di un’amicizia – intensa, forte, tenera, feroce – tra due ragazzini, diversi per cultura ed estrazione sociale, ma entrambi usciti da poco dalla guerra che, dal 1939 al 1945, aveva sconvolto la vita del mondo, dell’Europa, dell’Italia, delle città e di un piccolo paese della pianura padana. È una storia di stravaganti incontri che i due, Vittorio e Paolino, si giocano in un torrido pomeriggio di un’estate lontana, una manciata di ore spese in corse spericolate, scoperte improvvise, fughe affannate, scambio di confidenze, furiosi litigi e tanto, tanto sole negli occhi. Segreti, speranze e sogni che incideranno per sempre le loro anime. Due piccoli eroi dai calzoni corti imbevuti di ardore e sete d’avventura nati nei loro campi e arricchiti dalle voraci letture di giornalini e libri dove giganteggiano mitici personaggi quali Tex Willer, Sandokan, D’Artagnan e la salgariana Scotennatrice.
È una storia di guerra e sulla guerra, o meglio è una storia sul potere, quello che il sistema (la Famiglia, la Scuola, la Chiesa, lo Stato) esercita, consapevole o no, colpevole o no, sull’uomo e l’uomo scarica sul bambino e un bambino riversa su un altro bambino.
Madonne con la Polaroid è il diario intimo, a metà tra poesia e prosa, di un viaggio per strade interne ed esterne, interiori ed esteriori, pensato e scritto nello spazio temporale che ha accomunato l’umanità intera, quello della pandemia. È, anche, un affondo nella dimensione della scrittura che ora porta in superficie ora trascina negli abissi, come è tipico della parola istintiva, non misurata, libera. Il suo stile “on the road”, lontano da qualsivoglia forma poetica riconosciuta, si traduce in un percorso a zig-zag fatto di istantanee verbali, di situazioni e di storie, verosimili o vere, vissute o vivibili. Poesia e prosa confluiscono in due sezioni disgiunte eppure strettamente concatenate: lato A e lato B.
«Pochi come mons. Lanzafame hanno conoscenza della devozione mariana in Sicilia e pochissimi possono documentare i legami che essa ha con tante parti del Mondo, laddove si realizzano le parole di Maria: “Tutte le generazioni mi chiameranno beata”! (Lc 1,48). Le generazioni sono quelle che si avvicendano nel tempo, dai primi cristiani fino ai giorni nostri, ma anche le varie culture che in vari luoghi hanno legato il nome di città e paesi a quello della Vergine Maria, in cui si è rivelata in forma privata e ha manifestato la sua premura di Madre. Il titolo di “Madonna del Lume”, che mons. Lanzafame ci presenta con dovizia di documenti, ci riporta alla predicazione al popolo in Sicilia e alla pietà popolare, e allo stesso tempo richiama al “Cristo Luce del mondo”, di cui Maria, “pulchra ut luna”, è riflesso». Dalla Presentazione di Mons. Luigi Renna, Arcivescovo metropolita di Catania
La storia del vero Alfredo di Nuovo Cinema Paradiso
In più di cinquant’anni di carriera Mimmo Pintacuda ha scattato migliaia di immagini che narrano la storia sotterranea del nostro Paese – e in particolare della Sicilia – nella seconda metà del Novecento. Le sue opere – che rappresentano ancora oggi una forte e intensa testimonianza di arte e di impegno civile dall’effetto frastornante – meritano, come scrisse Renato Guttuso, di essere conosciute, riconosciute, premiate.
Paolo Pintacuda s’incammina lungo il percorso indicato da Guttuso e va oltre ripercorrendo la vita del padre in una biografia costruita come un romanzo. E allora ecco il giovane Mimmo affrontare le privazioni della guerra, appassionarsi al cinema, diventare proiezionista, avvicinarsi alla fotografia, trasformarsi in un artista ormai maturo e con un preciso e riconoscibile stile.
C’è la storia di un uomo attento e capace di rappresentare la realtà con una sensibilità visiva inedita, ma c’è anche il racconto dell’amicizia con Guttuso – nata da una controversia su un famoso olio su tela, Il Pittore di carretti, tratto da una fotografia di Mimmo – e quello del forte legame con Giuseppe Tornatore cominciato nell’inverno del 1965 nella cabina del cinema Capitol di Bagheria.
Una biografia che è al contempo uno straordinario omaggio a un indimenticabile fotografo e un racconto sincero e intimo per conoscere la profonda umanità di un grande artista.
A scuola con Giovanni Verga
a cura di Gabriella Alfieri e Andrea Manganaro
INDICE ANNALI 15/2022
– Romano Luperini: Verga a scuola
– Gino Tellini: Verga in classe. Nell’officina di un manuale scolastico
– Silvia Tatti: Reimpostare lo studio dell’Ottocento: nuove prospettive storiografiche attorno a Verga
– Massimiliano Tortora: Il modello Verga nel Novecento: prospettive didattiche
– Annalisa Nacinovich: Narrare la storia per poi descrivere la società: Verga narratore de I Carbonari della montagna
– Andrea Manganaro: Osservare senza giudicare? Condanna e colpa nel mondo di Verga (e nel nostro)
– Riccardo Castellana: La voce dei Vinti: la fiaba della cugina Anna e La Reginotta di Capuana
– Gianfranco Faillaci: Sotto l’impersonalità del narratore: leggere il non detto in classe
– Luisa Mirone: Verga sulla scena del teatro postunitario: uno spettacolo istruttivo per le classi
– Daria Motta: Lo strumentario del realismo nel Verga novelliere. Lettura linguistica di Primavera e Vita dei campi
– Laura Lupo: La violenza sulle donne nelle novelle di Verga: una proposta di lettura
– Milena Romano: Quale Verga nei testi scolastici? I brani più antologizzati e le relative modalità di commento
– Claudio Giovanardi – Pietro Trifone: Il parlato teatrale di Verga in prospettiva didattica
– Carla Riccardi Come si evolve un romanzo: lettura filologica del Mastro a scuola
– Giorgio Forni: Manzoni, Verga e la sfida dei Promessi sposi
– Giuseppe Polimeni: Da «quel ramo del lago di Como» alla «sciara» di Trezza. Contatti di lingua e di stile, per una didattica dell’italiano
– Antonio Di Silvestro: L’autore e l’opera: leggere Verga attraverso gli epistolari
– Giuseppe Palazzolo: Verga e lo strano caso dei lupini: un’occasione didattica interdisciplinare
– Dora Marchese: La transcodificazione del testo: La Lupa da novella a dramma e film
– Rosaria Sardo: Costruzione del testo e questione della lingua: Verga e l’officina verista a scuola
– Carmelo Tramontana: La costruzione del personaggio verghiano ne I Malavoglia: una proposta didattica tra Ottocento italiano ed europeo
– Alberto Bertino: Il marito di Elena. Il Verga ‘mondano’ di cui non si parla a scuola
– Milena Giuffrida: Strumenti di filologia digitale per la didattica di Verga: alcune riflessioni
– Gabriella Alfieri: Lo scritto letterario come specchio e modello di lingua: l’italiano interregionale di Verga
– Flaminio Poggi: Verga in periferia. La ricezione verghiana in un liceo romano
– Nicoletta Frontani: Un’esperienza necessaria. Narratori e tematiche nei romanzi pre-veristi
Lampedusa viene perfettamente identificata con il tema dei migranti. Riconoscibile come primo approdo, è diventata un passepartout del discorso politico, una rete di significanti che genera innumerevoli spin-off, sottotrame varianti rispetto al main-plot ormai accettato, acclarato, riconosciuto da tutti in maniera acritica, dai telespettatori, dai lettori dei giornali, dagli intellettuali, dagli artisti. Che si decida di stare dalla parte dell’accoglienza o da quella dei respingimenti, Lampedusa diventa un set per la rappresentazione audiovisiva. La dialettica viene cancellata e i conflitti interni a ogni narrazione sono rimossi, perché si rinuncia a qualsiasi forma di complessità di lettura e di analisi. Lampedusa smette di essere un luogo reale, abitato da persone reali, con bisogni, aspirazioni, paure reali. Diventa invece il campo di battaglia delle narrazioni ideologiche.
La rappresentazione narrativa di luoghi, ambienti e paesaggi nelle due stesure del Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga (1888 e 1889) è analizzata con un approccio che integra al tradizionale approccio diegetico-letterario l’osservazione linguistico-stilistica e tipologico-testuale. A partire dal presupposto storico-critico che nel romanzo moderno lo spazio è il cardine della relazione tra sintassi, lessico d’autore, temi e contenuti, si è costruito e indagato un corpus di un centinaio di inserti descrittivi, consultabile in appendice al presente volume. Raffrontando sinotticamente le soluzioni testuali adottate nelle due edizioni del romanzo, si sono caratterizzate, in base a dati attendibili e oggettivi, le dinamiche di testualizzazione e di strutturazione dei dati spaziali e paesaggistici nel Mastro-don Gesualdo. Le rare enunciazioni teoriche verghiane sono state rapportate alle realizzazioni narrative, e si è appurato come, nel rappresentare la realtà nel secondo romanzo de I Vinti, Verga osservi il mandato zoliano di attagliare le descrizioni alla caratterizzazione ambientale dell’uomo-personaggio, senza tuttavia rinunciare a un descrittivismo liricheggiante e a volte soggettivizzato. L’articolata gamma di strategie sintattico-stilistiche ed elocutive – dal livello minimo di allitterazioni e onomatopee al livello più elevato di anafore, similitudini, antitesi, metonimie – conferma il costante connubio tra grammatica e retorica come cifra stilistica dei capolavori veristi.
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