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Dieci apologhi o meglio “capricci” di ambientazione universitaria, scritti da un ex accademico che in quel mondo ha vissuto con passione, e se ora ha voglia di sorriderne non è per rinnegarlo ma per rimodularne in chiave di allegretto tipi e tic, patimenti e magagne, inaspriti e parodizzati fino al grottesco. Cattedratici bolsi o sfigati, discepoli maldestri o malmostosi, congiure sgangherate e simposi surreali, goffi amori e sordi rancori danno vita e colori a una irriverente gouache alla Daumier. E a furia di smorfie e lazzi si tramutano in una masnada di guitti, assoldati per alleviare il peso di questi giorni grevi.
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