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Lampedusa viene perfettamente identificata con il tema dei migranti. Riconoscibile come primo approdo, è diventata un passepartout del discorso politico, una rete di significanti che genera innumerevoli spin-off, sottotrame varianti rispetto al main-plot ormai accettato, acclarato, riconosciuto da tutti in maniera acritica, dai telespettatori, dai lettori dei giornali, dagli intellettuali, dagli artisti. Che si decida di stare dalla parte dell’accoglienza o da quella dei respingimenti, Lampedusa diventa un set per la rappresentazione audiovisiva. La dialettica viene cancellata e i conflitti interni a ogni narrazione sono rimossi, perché si rinuncia a qualsiasi forma di complessità di lettura e di analisi. Lampedusa smette di essere un luogo reale, abitato da persone reali, con bisogni, aspirazioni, paure reali. Diventa invece il campo di battaglia delle narrazioni ideologiche.
Cunégonde vive la sua infanzia felice con i genitori e i fratellini in uno dei villaggi che, “laggiù, dalle parti dell’equatore, costituiscono il popolo degli abigì”. Tra superstizioni e antichi rituali scopre in adolescenza le fatiche dell’essere donna in una società tradizionalmente maschilista. Quando a seguito della disgregazione familiare decide di intraprendere il viaggio verso l’Europa, Cunégonde non sa ancora quanto difficile possa essere il viaggio stesso e la vita in una terra che non è la sua e tra gente che non è come lei. Un romanzo che racconta la vita in prima persona, con lo sguardo di chi, nonostante tutto, non perde mai la speranza e la voglia di sognare.
E’ la storia di un profugo senza nazionalità, forse un clandestino per ragioni politiche, civili o ideologiche, poco importa. Un ragazzo qualunque che parte dalla propria terra, in Africa, per raggiungere l’Italia e avere un futuro. Una storia umana come tante che oggi accadono ogni giorno intorno a noi. Ismail, che fugge dalla guerra, dalla fame… è la raffigurazione di un mondo che rifiuta e che calpesta il diverso; egli rappresenta il viaggio, anzi è egli stesso il viaggio verso una meta che sa di “normalità”. Durante il suo lungo e difficile itinerario, come un novello Dante che attraversa l’Inferno per raggiungere il suo Paradiso, incontrerà gente di ogni razza, personaggi misteriosi, quasi fantastici, strane situazioni, incredibili rivelazioni, che lo porteranno a toccare con mano la bontà e la malvagità del mondo. La sua Beatrice, una donna misteriosa che come lui ha “il potere” della mano che “vede”, lo aiuta a non perdere la via, a guardarsi dai “tagliatori di mano” fino a guardare al suo passato e a ricercare la sua Patria, “là dove è il suo bene”. Un racconto destinato a lettori di ogni età, in cui ogni frase travalica la pagina su cui è scritta per stamparsi indelebilmente nella coscienza di chi legge.
In venticinque drammatici affreschi – in cui il testo si alterna al bianco, nero, ocra e rosso delle illustrazioni – si racconta la realtà in cui ancora oggi, nel terzo millennio, sono costretti a vivere migliaia di ragazzi africani. Questo è un libro in cui si narra della “guerra” africana. Non una nello specifico, ma le tante guerre che in maniera più o meno eclatante non hanno mai cessato di togliere vita e speranza all’Africa. Dalle pagine sapientemente costruite dall’autore emerge tutto il dramma personale e sociale dei bambini-soldato. Ragazzi che, nemmeno adolescenti, vengono letteralmente rubati alle loro famiglie dai signori della guerra e trasformati in ubbidienti e impassibili carnefici. Ma anche ubbidienti e impassibili vittime. “È ora di rendere tabù la guerra. Dobbiamo avere il coraggio di dire basta con la guerra. Ogni guerra deve essere tabù.” (Alex Zanotelli)
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