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La lettera che i nobili di Scozia inviarono a papa Giovanni XXII nella primavera del 1320 rappresenta uno dei monumenti della storia scozzese medievale. Il suo contenuto, en gros, è conosciuto: una decisa protesta rispetto alle mire di un vicino troppo (pre)potente e la volontà di autodeterminarsi, anche vivendo in un piccolo paese ed essendo privi di grandi risorse, tramite la scelta di un re adeguato alle esigenze della communitas. Al di là del contenuto vulgato, tuttavia, si tratta di un documento diplomatico di grande finezza retorico-stilistica, impregnato di cultura religiosa e letteraria. Nel presente studio si analizza la Dichiarazione di Arbroath attraverso un’indagine etimologica e storico-linguistica dei nomi e cognomi dei firmatari e di alcuni elementi lessicali contenuti nel testo della lettera: essi rivelano aspetti significativi del complesso e stratificato influsso culturale e linguistico di origine germanica che, nel corso del Medioevo, ha grandemente contribuito alla costituzione dell’identità scozzese.
Quello dei classici – e Dante e Boccaccio lo sono per antonomasia – è un patrimonio inesauribile al quale ogni generazione avverte prima o poi l’esigenza di attingere o di tornare, per cercarvi le risposte che servono, storiche ed esistenziali, o magari, semplicemente, per abbandonarsi al piacere del testo. L’autore di queste pagine si accosta a due capolavori come la Divina Commedia e il Decameron (e a un’operetta come il boccacciano Trattatello in laude di Dante) senza pretendere d’inoltrarsi in territori ignoti, d’imboccare piste inesplorate, ma in costante dialogo, anzi – ed è uno dei tratti distintivi del suo “metodo” critico –, con i tanti lettori di ieri e di oggi a cui si debbano interpretazioni decisive, imprescindibili, o soltanto spunti, suggestioni illuminanti… Ne viene un discorso rigoroso, affabile, modernamente sensibile, in grado di cogliere una “mossa” stilistica che sappia ancora sorprenderci, di pedinare – e valorizzare – una “verità”, di volta in volta lontana o vicina, capace ancora d’intrigarci.
A cura di Nunzio Zago e Giuseppe Traina
Bufalino fra tradizione e sperimentazione
Scopo di questo convegno, che si è svolto l’11 e il 12 aprile 2013 a Ragusa, presso la Struttura Didattica Speciale di Lingue e Letterature Straniere (Università di Catania) e a Comiso, presso la Fondazione Gesualdo Bufalino, era di riunire alcuni studiosi – soprattutto, ma non solo, dell’ultima o penultima generazione – per tornare a discutere, appunto, di Bufalino, della sua prestigiosa officina in bilico fra tradizione e sperimentazione, in un momento come l’attuale in cui l’idea stessa di letteratura, e tanto più, dunque, quella “alta”, magnificamente incarnata dallo scrittore ibleo, sembra in pericolo. Analizzarne la sapienza e gli umori lessicali, le invenzioni stilistiche, le forme problematiche del pensiero; svelare intertesti e avantesti delle sue opere; ricostruirne i progetti editoriali: ecco le ambizioni che erano alla base dell’incontro, nella speranza che prima o poi Bufalino abbia il posto che merita nel canone della letteratura italiana del Novecento, al di là di pigre e attardate ricostruzioni manualistiche che non tengono conto, spesso, degli effettivi valori estetici e della capacità degli autori di rispondere alle domande autentiche, non banalmente consumistiche, dei lettori.
Jusque datum sceleri è tratto dal secondo verso della Pharsalia di Lucano e annuncia l’argomento del poema, “il delitto divenuto diritto”. È il «motto» che Jacopo Ortis pone come «epigrafe» di un suo scritto fatto ardere prima del suicidio. Il tema dello ius dato allo scelus, della forza che diventa misura stessa del diritto, percorre tutto il libro, dai capitoli dedicati al riuso di Lucano e alla lettura intertestuale dei Sepolcri, sino al conclusivo, su Foscolo esule in Inghilterra e sul suo libro incompiuto sulle drammatiche vicende di Parga, consegnata dalla liberale Inghilterra ad Alì, pascià di Ioannina, contro ogni «diritto delle genti». Emerge da questa indagine l’ammirazione di Foscolo per la superiorità morale dei vinti «generosi» e la funzione di risarcimento da lui riservata alla poesia. È essa, di fronte alla violenza della storia, a garantire la memoria dei vinti e a proteggere le loro verità.
Il titolo di questo agile, ‘leggero’ ma denso volumetto non vuol dire che le sei parole scelte – zolfara, popolo, morale, corpo, leggerezza, saggio – siano soltanto parole, per Leonardo Sciascia, ovvero parole al vento, senza fatti, senza precisi riferimenti o, come si diceva una volta, senza contenuti a sostanziarle, a concretarle, nella storia dell’uomo, dei suoi linguaggi, delle sue lingue. Le parole sono davvero importanti, per lo scrittore siciliano, e pure per l’autore di queste pagine, che crede, come Sciascia, nel racconto, e nel racconto critico in particolare.
La nostra epoca è segnata da un evidente scacco: mentre un mondo muore, un nuovo cosmo stenta a nascere. In termini lukacsiani, si vive ancora una volta in un frangente storico tipicamente “demonico”. Ma è possibile rintracciare i contorni perpetuamente oscillanti di una forma artistica che, senza alcuna pretesa di esaustività, raccolga almeno i tratti essenziali di questo incerto trapasso? Questa raccolta di scritti vuole fornire un contributo allo studio del saggismo letterario inteso come modo espressivo centrale di un dato momento storico. Posto sotto il segno ironico di quel Saul, che per Lukács, al pari del saggista, «era partito per cercare le asine di suo padre e trovò un regno», il volume esplora i felici “pretesti” del saggio, mettendosi alla ricerca delle asine di Manzoni, De Roberto, Palazzeschi, Ungaretti, Cassola, Longhi, Tomasi di Lampedusa, Sciascia, Fortini, Volponi e Pasolini.
L’autore, studioso e ricercatore della materia, a partire dal 1989 ha documentato, luogo per luogo, celebrazione per celebrazione, i riti della Settimana Santa siciliana in ben 390 comuni, tutta l’Isola. Il volume è suddiviso in tre parti: la prima, di carattere introduttivo, evidenzia alcuni temi ed espressioni che costituiscono lo scenario complessivo e costitutivo attraverso il quale si può fare una lettura più puntuale delle tradizioni di questa Settimana. La seconda è di carattere descrittivo/analitico e riguarda lo studio strutturale dei singoli giorni della Settimana. Nella terza, di carattere conclusivo, viene fatta una rilettura complessiva utilizzando due “orizzonti”: quello storico, in cui si rintracciano le origini e le varie fasi di sviluppo delle tradizioni nel contesto della storia dell’espressione religiosa popolare nell’ambito del Cristianesimo occidentale; e quello teologico, in cui si individuano quelle che sono le tematiche e le peculiarità complessive e specifiche dei singoli giorni che sottostanno alla Settimana Santa in Sicilia.
Per un’etica del credente nei social.
Quale rapporto c’è oggi tra la fede e i social media? In quale maniera i cristiani, e i cattolici in particolare, utilizzano i social media, non solo per parlare di cose inerenti la propria fede, ma più in generale? Come ci si pone di fronte ai milioni di dita puntati nei confronti dell’Altro? Come ci si pone nei confronti delle fake news? L’Autore, a partire dalla sua esperienza di pastore e predicatore, ha analizzato la maniera in cui i cristiani utilizzano i nuovi media e come e se questo utilizzo trova i suoi benchmark nel Vangelo. Il risultato è che il popolo di Dio quando si trasforma in popolo di facebook tende a uniformarsi alle cose del mondo piuttosto che ispirarsi alle cose di Dio. Il libro offre delle linee guida e un decalogo per aiutare i cristiani a utilizzare i social senza dimenticare il Vangelo.
Proporre Giovanni Verga ai lettori di oggi è impresa ardua: il mondo agreste di cui parla il grande autore siciliano è oramai scomparso e il suo linguaggio sembra essere inadeguato per proporlo alle generazioni cosiddette native-digitali. Fabia Mustica, disegnatrice di fumetti, è riuscita in un’impresa ancora più difficile: narrare Verga con il linguaggio dei fumetti senza tradire l’aspetto filologico del testo, restituendo così al pubblico dei lettori l’intramontabile potenza della poetica verghiana, la struggente amarezza e la lucida disillusione dei suoi personaggi, la radiosa solarità della campagna siciliana, i gesti, le paure e le speranze degli ultimi e dei disperati protagonisti di un’epoca che sembra tramontata per sempre ma che è tutt’oggi di estrema attualità. Le novelle: Nedda, Rosso Malpelo, Cavalleria Rusticana, La Lupa, La roba
Il volume contiene quattro studi dedicati ad autori diversi nel tempo (vissuti fra il Due e il Cinquecento) ma non nella provenienza (sono tutti di origine fiorentina), a generi letterari diversi, a codici comunicativi diversi; ma le opere studiate hanno in comune un’analisi raffinata dei meccanismi che regolano i rapporti di potere tra gli individui. Tali rapporti sono analizzati sia nell’ambito del microcosmo familiare (tanto in un capolavoro conclamato, come il Decameron, quanto in un’opera apparentemente “minore”, come l’Aridosia) sia nell’ambito delle relazioni interpersonali in genere: che si tratti del rapporto tra l’Ulisse dantesco e i suoi marinai nel celeberrimo canto XXVI dell’Inferno o che si tratti del rapporto assai ambivalente che s’instaura tra beffatore e beffato in un testo splendido come La novella del Grasso legnaiuolo. Le varie forme del controllo, della persecuzione, della restrizione della libertà hanno dato luogo a forme di ribellione o resilienza che l’autore ha studiato fondandosi sulla interrogation du texte, convinto com’è che soltanto ascoltando le domande che il testo pone si possano trovare risposte adeguate: che, peraltro, vivono già nel testo e che l’interprete è chiamato soltanto a riportare, con pazienza, in superficie.
Se il dantismo degli ultimi decenni si è orientato verso la restituzione di un Dante medievale in quanto teologo, filosofo e moralista, non sono mancate ricerche specificamente incentrate sugli aspetti mistico-devozionali della sua opera. In questa direzione è isolabile una linea d’indagine – suggestiva e molto feconda – che ha restituito la figura di un Dante profeta o poeta-profeta e l’immagine di un poema, la Divina Commedia, da ripensare come opera integralmente profetica. Analizzando sotto questa luce l’intera opera del poeta, l’autore ha proposto nei suoi molteplici scritti di argomento dantesco una lettura della Commedia come narrazione, nella forma dell’allegoria poetica, di una conoscenza d’eccezione – culminante nel raptus sul modello paolino –, largita a Dante per la sua personale salvazione e funzionale alla missione in questa conferitagli di illuminare gli uomini del suo tempo. In questa prospettiva, i primi due canti dell’Inferno sono ampiamente analizzati nella loro singola funzione e nel loro interno rapporto come rappresentazione delle condizioni soggettive e oggettive per l’avvio dell’itinerario del personaggio protagonista. Una lettura integrata da una specifica proposta interpretativa riguardante la profezia del Veltro.
Il presente lavoro esamina temi e figure della prima guerra di indipendenza scozzese (1296-1328) in una serie di testimonianze del XIV e XV secolo. Nelle prime quattro sezioni ci si concentra su personaggi storici significativi e sulla loro presenza in testi letterari ma anche nelle cronache e nei documenti ufficiali dell’epoca, mentre l’ultima parte analizza la presenza dell’elemento acquatico nel Bruce di John Barbour.
A cura di Nunzio Zago
Il presente volume si occupa, senza pretese di completezza ma in plurimi ambiti disciplinari (italianistica, francesistica, anglistica, germanistica), della funzione conoscitiva dell’ulissismo intellettuale dall’Ottocento a oggi. Si tratta di uno sguardo non corrivo sul mondo: sghembo, demistificante, un po’ da esule, un po’ da chierico vagante, a contatto con lingue e culture diverse anche se costretto, talvolta, nel perimetro di una stanza. Uno sguardo sempre animato da curiosità e irrequietezza, da una disposizione, magari solo immaginaria, alla “fuga”, a evadere da confini troppo angusti. Quella, insomma, del letterato più autentico.
Interventi di: Nunzio Zago | Andrea Manganaro | Antonio Sichera | Fernando Gioviale | Giuseppe Traina | Nicholas Brownlees | Massimo Sturiale | Michael O’Neill | Eleonora Sasso | Fabrizio Impellizzeri | Nella Arambasin | Marilia Marchetti | Alessandra Schininà | Gabriele C. Pfeiffer |
Le nuove frontiere della Medicina Narrativa
Interviste di Katia Scapellato – Foto di Fabrizio Villa
Obiettivo del volume è dimostrare, attraverso foto e interviste a pazienti oncologici, che la medicina narrativa rappresenta un’area essenziale di ricerca e di sviluppo nel settore della salute, per la sua capacità di rimodulare il rapporto medico-paziente, di rendere sostenibile il sistema socio-sanitario e di migliorare il rapporto con il territorio attraverso campagne di prevenzione e di informazione. La Medicina Narrativa affonda le sue radici nella letteratura, nella storia, nell’etica e nell’economia. Assai spesso, l’utilizzo di metodologie narrative in contesti oncologici permette a pazienti e curanti di organizzare i pensieri, le esperienze, di trasmettere emozioni e informazioni sul sistema sanitario, di individuare percorsi di cura più efficaci. Allo stesso modo decidere di mostrare i segni della malattia e affidare all’obiettivo di un fotografo esperto le proprie cicatrici ed emozioni serve oltre che a raccontare la propria storia anche a metabolizzarla e a renderla condivisibile.